Questo blog è diventato più adulto e si è trasferito in una casa tutta sua. Grazie a WordPress per l’ospitalità gratuita 🙂
Trovate i vecchi e i nuovi post qui: http://maurizionasi.it
Questo blog è diventato più adulto e si è trasferito in una casa tutta sua. Grazie a WordPress per l’ospitalità gratuita 🙂
Trovate i vecchi e i nuovi post qui: http://maurizionasi.it
Quando qualcuno mi chiede come è andata la vacanza, quali sono i posti da visitare assolutamente, cosa ho da raccontare, mi sento come se non avessi studiato la lezione e mi guardo intorno in cerca di un suggerimento . In genere dopo un po’ imparo una risposta sensata e la rifilo a tutti a prescindere dalla domanda (a meno che non siano le domande di mia madre, che è incuriosita da aspetti come “loro guardano la tv a tavola?”). Ho capito che vivo i viaggi in modo lineare, ma li immagazzino a macchie, per pennellate: se solo sapessi disegnare questo sarebbe l’unico modo sensato per raccontarli.
Ecco, disegnerei due ragazzi su uno scooter rosa che seguono un’infermiera indonesiana e una loro amica, le due senza casco, in mezzo a strade caotiche o piccole vie deserte circondate da templi. La ragazza si lascia trasportare senza sapere dove sta andando, si volta e sorride, alzando le spalle. I ragazzi ripartono di sera, attraversano cento paesi tutti diversi, prima le vie d’argento, poi quelle di legno, poi quelle di pietra, intorno si vedono ancora palme, terrazze di riso verdi anche all’imbrunire e aquiloni in cielo. Nel fumetto metterei delle note musicali, perché i due ragazzi stanno canticchiando, la strada è lunga e la sera è fresca. In basso a destra scriverei: Ubud, isola di Bali, 15 agosto 2010
Volterei pagina per disegnare dei punti colorati sul bordo di un vulcano, tende a cui si arriva dopo otto ore di cammino. Dovrei riempire un fumetto con i suoni di chi ansima, perché i due ragazzi sono stanchi e la forza per fare ancora qualche metro è terminata ore fa, più o meno quando hanno superato le nuvole a 2000 metri. I due si affacciano su uno strapiombo, una parete liscia e ripida che scende fino a un lago da cui emerge un altro vulcano attivo. Qui dovrei riempire un fumetto di silenzio. Una nuvola entra piano nello spazio vuoto, lentamente si mangia il lago e resta solo il fumo. I vestiti sono mossi da un leggero vento che porta con sé la notte, di quelle così buie che le stelle ti cadono addosso, ma loro non sanno riconoscerle perché sono in un altro emisfero, allora guardano i fuochi accesi per cucinare, entrano nella tenda e sorridono, prima di addormentarsi per terra senza accorgersene. Qui scriverei: Rinjani, 2639 metri, 8 agosto 2010
Infine vorrei una tavolozza con i colori primari per dipingere il blu intenso dell’acqua, il bianco delle onde e il giallo della spiaggia che si allontana; altri colori mescolati per il legno scrostato di una barca con sopra troppe persone, facce diverse, lingue diverse, espressioni diverse, con lo sguardo verso il mare e con i piedi appoggiati sugli zaini bagnati. Nel fumetto le parole non avrebbero senso, sovrapposte come sono e confuse dal rumore del motore. I due sono seduti, anzi aggrappati, a diversi lati della barca e vedono spuntare dall’acqua un branco di pesci, di quelli che saltano, all’inizio sembrano solo tanti riflessi di un’onda più corta, poi saltano di nuovo, e di nuovo, guarda ancora e alla fine spariscono. Qui vorrei sapere disegnare abbastanza bene da mostrare l’espressione di uno dei due, sorpreso perché non è mai stato in un mare così grande, teso perché non è mai stato su una barca così vecchia, curioso perché sta andando in un luogo che non saprebbe nemmeno posizionare su una mappa. In basso a destra scriverei: Oceano Indiano, al largo di Gili Meno, 12 agosto 2010.
La fortuna di nascere al mare è che puoi dire che ti manca. Suona interessante, consente di assumere uno sguardo vacuo verso l’orizzonte e gli altri ti ascoltano con un misto di comprensione e ammirazione.
Anche se è il mare di Rimini.
La sfortuna di nascere al mare è che ti lascia un ricordo di imbarazzo, quasi di sconfitta, quando l’estate immobilizza l’aria e ti trattiene come bloccato in uno spazio che dovrebbe essere vitale e non lo è.
Soprattutto se è il mare di Rimini.
È l’imbarazzo delle celebrazioni in cui sei fuori luogo, è la sconfitta delle promesse non mantenute. È il pomeriggio in cui non ti senti adatto a stare al sole, perché non sei capace di chiudere veramente gli occhi, e osservi quelli che vorresti essere, le cose che vorresti fare e le persone che dovrebbero cercarti e invece no. Allora resti in una stanza in penombra, seduto per terra come massimo gesto di autonomia, e ascolti gruppi che ti spiegano la paura dell’essere sorpresi, dell’incuranza e dell’acqua, non sei sicuro di capire ancora ma c’è tempo, mentre là fuori si addormentano con la publifono, e guardi film in cui ci si bacia a bocca chiusa, ci si aspetta nelle stazioni e le star sono più grandi degli schermi che le imprigionano, mentre là fuori sfogliano riviste e ammirano corpi ancora più belli dei loro. Non lo sai, ma in quel momento stai diventando una persona diversa e stai imparando a stare al sole con gli occhi chiusi senza pensieri. Non lo sai, questo è il problema, e vorresti tanto essere altrove.
Chissà quando lo capisci, chissà se veramente lo capisci, in ogni caso è una sensazione che non si confessa: è semplicemente qualcosa che impara chi è nato nei posti felici.
Non è la mancanza del mare a rendere una persona interessante, ma è sapersi sedere per terra, a piedi nudi, con la testa appoggiata al letto, immaginando di nuotare di notte come quando fuori c’è il sole.
A chi fa spoiler, peste lo colga.
Lo so che se qualcuno mi rivela [SPOILER] che Rosebud è il nome della slitta [/SPOILER] e non ho ancora visto “Quarto Potere” è in parte colpa mia (l’ho visto, non temete). Però ecco, se un’ora dopo che è andata in onda la puntata qualcuno mette nel titolo il finale di Lost, allora sì che ti viene voglia di evocare il fumo nero, o per lo meno l’orso polare: qualsiasi riferimento al tgcom è puramente casuale. Qui c’è una lista di colpevoli spoileratori.
Tutt’altra classe invece hanno i veggenti, i lettori di trame, i rabdomanti del senso. Tra questi c’è Adamo Lanna, che nel suo blog ci aveva avvertito per tempo di come sarebbe andata a finire una delle serie più amate e discusse degli ultimi anni. Ecco perchè quando ho partecipato alla #maratonalost organizzata da Lost Italia ero completamente rilassato: vedevo tutti i tasselli andare esattamente al loro posto, come da copione.
Mi sono permesso di leggere questa premozione di Adamo per il bel progetto Collettivo Voci: se volete un riassunto delle sei stagioni di Lost, con tanto di finale scritto in anticipo, lo trovate a questo link.
http://collettivovoci.tumblr.com/post/634455320/maurizio-videogioco-legge-il-post-in-cui-svelo
Il gioco, per le sue caratteristiche di coinvolgimento, dedizione e piacere, rappresenta una forte tentazione per la comunicazione, anche se non è sempre facile trovare un punto d’incontro soddisfacente tra i due linguaggi: da una parte si tenta di inserire la comunicazione all’interno dei games con quella che viene chiamata in-game advertising, dall’altra si cerca di portare meccaniche ludiche all’interno della comunicazione. Personalmente sono più convinto del secondo approccio e ultimamente ho visto tre interessanti casi proprio in questa direzione.
Quando ero piccolo e giocavo a tennis ero sempre avido di aggiornamenti dai tornei in giro per il mondo. Mi ricordo che avevo un quadernone dove compilavo i tabelloni, annotavo i risultati e facevo le mie previsioni su chi avrebbe vinto. La mia fonte principale di aggiornamenti era il televideo, con l’unico problema che le notizie di tennis scarseggiavano sempre rispetto agli altri sport, tranne che durante i tornei del Grande Slam o gli Internazionali d’Italia, per cui non mi restare che andare direttamente a pagina 245: le “brevissime“. Per quanto brevi, a me erano utili.
Ecco, ho pensato che spesso ho poco tempo per scrivere un “vero” post in cui metto insieme un po’ di notizie che trovo e le farcisco con qualche commento, ma mi fa comunque piacere segnalare novità che mi sembrano interessanti. Da oggi inauguro la categoria delle brevissime, una versione leggermente più evoluta del mio tag “games” su delicious.
Dal Giappone arriva la notizia che la Nintendo ha pensato a un nuovo casual game per Wii legato alle ricerche su Google. Il gioco, che uscirà in Giappone il 29 aprile, si chiama And Kensaku e consiste in una raccolta di minigame basati sulle queries del motore di ricerca. Qualche esempio: sconfiggere l’avversario indovinando quale delle diverse queries ha più risultati, fare esplodere una bomba nelle mani del giocatore che trova la ricerca meno popolare, individuare le migliori ricerche con “and”, superare correndo gli avversari grazie alle ricerche con i maggiori trend di crescita
Interessante pensare che Google figura come partner del gioco, avendo fornito 10.000 parole per il gioco su Wii e molte di più per la versione online.
Per chi ci capisce qualcosa, il sito è questo.