Esperimenti di insegnamento ludico

24 10 2009

Un interessante articolo dell’Economist parla di una scuola newyorkese, “Quest to learn“, in cui si abbandona il classico “chalk and talk” (perchè gli inglesi sanno sempre trovare delle espressioni così efficaci?) per abbracciare ambienti e meccanismi del gaming come base per l’insegnamento scolare.

Se vi interessa, trovate l’articolo qui.

games lessons





The way we learn while playing

28 07 2009

Immagine 1

Citazione tratta dall’articolo “Seriuos Games” che potete leggere qui.





Anche i brand si mettono in gioco: il caso Mountain Dew

14 03 2009

Mountain Dew è un soft drink prodotto e distribuito negli USA dalla Pepsi.
In un mercato altamente competitivo e in cui altri brand hanno la leadership di vendite e immagine, MTN Dew (altro nome con cui è conosciuta) ha deciso di scegliere come target elettivo quello dei gamer portandoli al centro delle proprie iniziative di comunicazione.
Non si tratta di un’azione tattica, mordi e fuggi, ma di una vera strategia di lungo corso che l’ha portata, negli ultimi a lanciare un gioco online sul proprio sito in occasione dell’uscita del film “Transformers”, a proporre sul mercato una nuova bottiglia e un nuovo claim “Game Fuelin occasione del lancio di Halo 3 e infine a creare una sorta di MMO per fare scegliere ai giocatori il prossimo sapore della bevanda con la campagna Dewmocracy: pare che il sito abbia contatto 200.000 utenti registrati, 700,000 visitatori unici, con un tempo di navigazione medio di 28 minuti.

L’ultimo tappa (fin qui) di tale percorso è avvenuta lo scorso dicembre quando Mountain Dew ha dato vita a uno speciale di 30 minuti per Spike TV (una tv via cavo a target maschile del gruppo MTV), intitolato “The Next Great Game Gods”, in cui si mostra sia come sfondare nel mondo del gaming, sia quali sono i nuovi talenti emergenti e perché. Durante lo speciale sono stati anche forniti dettagli su come vincere download gratuiti di videogame indipendenti, sempre sponsorizzati da Mountain Dew. Il giorno dopo l’on air dello speciale tv, Mountain Dew ha presentato l’award inaugurale per “Best Independent Game of the Year” durante i  “Video Game Awards” di Spike TV.

the-next-great-game-gods

Un brand manager della Pepsi ha dichiarato “in-game placement is a viable and valid approach to connecting a brand to gaming, but we believe we can play a bigger role in the culture of gaming. For a brand, there’s nothing more powerful than being part of a ritual. We think we can do that if we’re integrated deeper into the experience”.

A mio avviso l’aspetto più importante di tale iniziativa è che Mountain Dew esce dalla classica logica delle sponsorizzazioni o del product placement (non che ci sia nulla di male, anzi), ma diventa quasi un publisher di videogame indipendenti, portando alla luce e distribuendo i titoli più interessanti e meritevoli che altrimenti potrebbero essere difficilmente rintracciabili dal grande pubblico, fornendo così un servizio davvero esclusivo agli appassionati.

È una strada allettante, ma che non tutti i brand posso percorre allo stesso modo ed efficacemente, dato che occorre prima costruire la propria equity con iniziative come quelle di Halo 3 e poi legarsi a brand con una forte credibilità presso il proprio pubblico, come Spike TV.

Vi vengono in mente brand che potrebbero dare vita a iniziative simili con i videogame indipendenti italiani?





l’iPhone sarà la nuova console (per i brand)?

28 12 2008

Ideas about gaming

Su Ad Age, ottima rivista di advertising e media, è apparsa un’interessante riflessione dal titolo “Smartphone Could Fuel Surge in Video Gaming”; non inserisco il link poichè gli articoli sono visibili gratuitamente solo nella prima settimana dalla pubblicazione.

Tra videogame per console e videogame per cellulare c’è sempre stato un abisso: i primi sono immersivi, complessi e piuttosto costosi, i secondi sono casual, semplici e tendenzialmente gratuiti o economici.

In realtà sono differenze che riguardano più le potenzialità dell’hardware che non l’attitudine delle persone: chi gioca è infatti sempre portato a concentrarsi più o meno a lungo sull’azione e a volere rigiocare per cercare di battere se stesso – abilità – o gli altri – competitività.

Oggi però gli Smartphone sono sempre più delle scatole tecnologiche che consentono, tra le altre cose, di telefonare e con le quali è possibile avere esperienze di gioco evolute per certi versi paragonabili alle console portatili o in ogni caso appaganti per un pubblico allargato.

Ecco perchè mi sembra molto interessante il fatto che, come riporta l’articolo citando uno studio della NPD:

smartphone users play games more often than they use the business-related applications on their devices. Among iPhone users specifically, playing games was the most increased use of the phone over the past three months.

Perchè un post su questo argomento? (se lo dico solo alla 20° riga, forse sono un po’ logorroico).

Perchè al di là delle potenzialità dell’hardware credo che proprio il gaming possa divenire il punto di incontro vincente tra la comunicazione dei brand e l’utilizzo del mobile come medium: sempre più spesso si sente parlare di mobile advertising e sembra che ogni anno sia quello buono per la sua definitiva esplosione. Appena lo si nomina gli uomini di marketing drizzano le orecchie, alla ricerca di novità con cui distinguersi dai competitor e in grado, chissà, anche di fare riprendere i consumi: mobile, viral e social media sono le parole che esaltano grandi e piccini nella comunicazione.

Al momento, a mio avviso, non sono però stati trovate forme di comunicazione adatte a utilizzare un mezzo in cui non siamo abituati a ricevere pubblicità, su cui abbiamo e vogliamo mantenere massimo controllo, ma anche dal potenziale enorme, dato che è sempre e ovunque accanto a tutti noi, una vera estensione della nostra persona.

Personalmente io ricevo solo fastidiose offerte di una mia ex palestra e messaggi della Tim che non leggo , poichè sono troppi, arrivano al momento sbagliato e non catturano mai la mia attenzione, come invece fanno gli sms degli amici.

La brandizzazione di game o forme di pubblicità all’interno di giochi per l mobile possono invece divenire le forme ideali per:

  • fornire contenuti e non fare solo pubblicità (contest is king)
  • fare partecipare attivamente il target alla nostra comunicazione (prosumer)
  • essere certi che il messaggio sia visto dal nostro target (il gioco mi sembra l’antitesi del multitasking)

Mi piace molto il riferimento all’aumento d’uso del gaming soprattutto per l’iPhone, dato che il gioiellino della Apple, vero oggetto di lifestyle, è sempre di più un anticipatore delle tendenze future per tutta la categoria. Soprattutto l’App Store, che consente agli utenti di installare applicazioni sviluppate da terze parti, può essere la killer application per portare la comunicazioni, o meglio ancora i contenuti dei brand sotto forma di game a un target attivo, coinvolto e partecipativo. O no?

Secondo voi quali sono le opportunità o i rischi che vengono ai brand da questa forma di comunicazione? Conoscete già dei case study interessanti?

Infine, gli smartphone possono diventare dei veri e propri competitor delle console portatili o al contrario essere degli alleati?

Io voto la seconda ipotesi, poichè chi vuole principalmente giocare sceglierà sempre una DS o una PSP, per la forza del brand, ma anche per le loro specifiche funzionalità e per non scaricare la batteria del cellulare (come si legge chiaramente qui); gli smartphone possono invece fare comprendere più facilmente ai brand le potenzialità del (casual) gaming come mezzo di comunicazione allargato, con grande beneficio di tutta la categoria.

Il primo che mi risponde vince un iPhone! (scherzo)





Possiamo imparare a imparare dai videogame?

16 12 2008

Learning through experiment

Un bell’articolo, sul blog del Guardian, a proposito di LittleBigPlanet e sui meccanismi di apprendimento resi possibili da videogame che iniziano a sperimentare nuovi linguaggi.

“Children describe what makes a good teacher, saying that one “explains things clearly”, “turns teaching into problem-solving rather than just giving information” and “makes sure it’s not too big steps”.

The best (videogames) developers create worlds in which players are supported and treated as individuals. Players are seamlessly introduced to the complex physical laws of the game world through a series of lesson-like opening levels. It’s then possible to progress through experimentation, rather than being flattened every five minutes for not doing it properly. LittleBigPlanet, Sony’s creative platforming game, takes a similar approach. Neither resorts to a fenced-off tutorial section, a crap invention that usually manages to patronise and bore players.

All games, like schools, can teach us about our place in the world, but only by providing a supportive framework to creativity and fun.

So the next time you get hopelessly stuck in a game, remember – it’s not your fault. You’ve simply been badly taught by the designer”

http://www.guardian.co.uk/technology/2008/nov/13/learning-videogames





Giornali e videogame

10 12 2008

Qualche settimana fa, parlando con un ragazzo che partecipa a un master sui videogame, mi è stato fatto notare il ruolo marginale, se non nullo, che hanno i videogame nella stampa generalista.

Credo che uno dei casi di maggiore celebrità di un videogame nella nostra stampa sia stato “Rule fo Roses”, finito sulla copertina di Panorama col poco ambiguo titolo “Vince chi seppellisce viva la bambina” e addirittura portato all’attenzione della Commissione Europea dal lungimirante Frattini: qui potete leggerne un resoconto.

Anche se il caso dimostra soprattutto una conoscenza superficiale della materia trattata e la presenza di una serie di pregiudizi quanto meno imbarazzante da parte di giornalisti, è più importante sottolineare che erano soprattutto notizie come questa a raggiungere la notorietà presso il grande pubblico: una notorietà tale che alcuni, un po’ dietrologi, sostengono che il caso è stato montato dagli stessi distributori del videogame per aumentarne l’effetto cult! Anche se è vero che le cose vietate sono le più attraenti, penso che questo caso dimostri  la netta, e fino a poco tempo fa volontaria, separazione della cultura dei videogame dalla cultura mainstream.

Poi è arrivata Nintendo con la Wii, DS e software inaspettati, e la visibilità positiva è notevolmente aumentata, divenendo esempio e anche traino per l’intera categoria.

Eppure è vero che nei quotidiani o settimanali italiani, i videogame non sono ancora entrati con continuità nelle segnalazioni delle pagine di cultura e intrattenimento, accanto a film, libri, musica, spettacoli, programmi tv: eppure i numeri di vendita fanno pensare a un interesse di un pubblico sempre più vasto.

Perchè? Il fatto di parlare un linguaggio troppo settoriale da parte del gaming è sempre meno vero e meno attuale, e forse occorre valutare anche l’immobilità di molta stampa italiana, che non sa seguire i cambiamenti di gusti e di linguaggi del pubblico, e che, alla fine, rischia di avere sempre meno pubblico che la legge: le notizie di grande crisi della stampa americana, forse il mezzo che più sta risentendo dello spostamento delle audience sul web, dovrebbero fare riflettere sui pericoli che attraversa questo medium.

Però dalla stampa straniera arrivano esempi interessanti di apertura al gaming da parte di quotidiani e settimanali: negli USA Variety ha un blog dedicato all’argomento e soprattutto The Guardian, che a mio giudizio è il quotidiano che fa l’uso più coraggioso del web, ha una sezione di grande interesse e qualità, e che ho intenzione di citare spesso. 🙂

Ma la notizia più interessante di tutte è che The Guardian ha addirittura prodotto il suo primo videogame! Come si legge nell’articolo di presentazione, si tratta di “a collaboratively generated text adventure set on a wounded ship deep in space”.

Spaceship, questo il nom del videogame, è quindi un’avventura testuale creata collettivamente dalla comminity dei lettori del blog del quotidiano:

“Spaceship! was developed using social media tools: open-source software, a wiki, the blog. As development ignorami, we drew in established members of the games development and interactive fiction communities to guide and support us“.

Se volete giocare e farvi un’idea di cosa ne è venuto fuori, cliccate qui.

Perchè questa notizia mi interessa? Perchè da un lato i videogame hanno bisogno della stampa (e della tv) per uscire dal loro ambito circoscritto e divenire un oggetto di cultura e intrattenimento a tutti gli effetti, ma anche perchè la stampa può utilizzare il linguaggio interattivo dei videogame per catturare l’interesse di audience sempre più in fuga e per riuscire a coinvolgerla in una maniera sempre più attiva (che fa tanto web 2.0 e compagnia bella).

E, come spesso succede, i primi che lo capiranno avranno un vantaggio iniziale non facile da colmare. O no?






Intro

23 11 2008

Per una serie di più o meno buone ragioni:

  • perchè lavoro nella comunicazione e adoro i videogame e mi piacerebbe fare uno + uno: parlare della comunicazione dei videogame e dei videogame come forma di comunicazione
  • perchè vorrei fornire uno spazio in cui raccogliere materiale, case history nazionali e internazionali, e avere ispirazioni dai commenti della rete
  • perchè penso che in Italia siamo ancora abbastanza indietro nella riflessione su come il videogame possa divenire un vero e proprio medium
  • perchè mi piace scrivere e leggere le opinioni altrui

Negli ultimi anni il settore dei videogame ha mostrato grande vitalità e notevoli cambiamenti sia a livello di prodotto sia di comunicazione. E’ un settore che come indotto ha superato altre industrie dell’entertainment (musica, dvd…) e che non sembra subire gli effetti della recensione: credo che ci sia abbastanza materiale per mettere in piedi un buon blog, basta trovare il tempo per farlo..

Spero di riuscire a scrivere post interessanti sia per gli appassionati di gaming sia per quelli di comunicazione, ma anche per lettori non impallinati, ma semplicemente curiosi!